Parigi e il giardino di pietre
Parigi e il giardino di pietre
Capita di passeggiare lungo rue de la Paix, quel nastro di lusso fra l’Opéra e place Vendôme. Quella dei gioiellieri, delle vetrine sfavillanti e spesso prive dei cartellini con il prezzo, delle auto con i vetri fumé che rallentano e poi ripartono dopo aver richiuso le portiere posteriori. Capita che cominci a piovere, che ci si debba riparare in un portone e che la pioggia duri giusto il tempo di solleticare la curiosità. Dietro il portone un delizioso cortile tipicamente parigino con una costruzione incorniciata di bianco, vasi di fiori e piante e un portaombrelli con i parapluies color melanzana, proprio come le tende alle finestre. Dietro una di queste, una vetrina in realtà, il banco di lavoro di un tagliatore di pietre mentre dietro le altre fiori, trifogli, gocce e piccoli giochi di forme e di colori. Oltre la porta, anche questa incorniciata di bianco, una signora sorridente mi tende la mano e mi invita a bere un caffè.
E’ così che comincia la scoperta di una storia da raccontare.
La signora, Isabelle Langlois, è la discendente di una vecchia famiglia di tagliatori di pietre del Jura. Su quei monti, dove l’inverno era lungo e il freddo intenso, gli abitanti dei villaggi cominciarono a lavorare le pietre dure dopo che Calvino e la Riforma proibirono di indossare gioielli. Le pietre erano utilizzate per gli orologi, per i quali il Jura svizzero è ancora famoso, ma anche come ornamento sobrio e meno vistoso. Il nonno di Isabelle divenne talmente bravo che si spostò a Parigi per aprire la seconda sede di un’azienda destinata a diventare tra le più famose al mondo.
“Non sono altro che un risultato” mi dice Isabelle raccontando come il suo futuro fosse già segnato, di come si sia nutrita di colori e di frammenti di pietre fin da bambina. Ed è così che scopro la notizia più inattesa. Aveva dieci anni e a suo nonno venne commissionata la lavorazione delle pietre per l’incoronazione di Farah Dibah come imperatrice di Persia. Lo shah Reza Palhavi voleva che sua moglie indossasse una corona, disegnata da Van Cleef&Arpels, fatta con una parte dell’inestimabile Tesoro di Persia ma c’era un problema: quei gioielli non potevano lasciare il Paese e perciò l’unica soluzione era disegnare e realizzare in Francia una corona incastonata di pietre preziose identiche a quelle del Tesoro che poi sarebbero state sostituite una volta arrivata in Iran. Un chilo e mezzo circa fra oro, 105 perle, 34 rubini, 2 spinelle, 38 smeraldi e 1469 brillanti. La ricerca di tutte le pietre fu lunga e minuziosa ma la vera prova fu riuscire a trovare smeraldi con la luce e la stessa trasparenza di quelli da imitare. E Isabelle bambina sedeva al tavolo con sua nonna che invece dei biscotti appena sfornati le faceva passare sotto il naso pietre da selezionare con la massima cura.
I colori, le storie e i personaggi sono diventati l’ispirazione delle sue collezioni dedicate ai pittori (Piet Mondrian, per esempio), alle opere teatrali (Un Tram chiamato Desiderio), al regno floreale. E, se proprio non si possono indossare, queste opere d’arte (che qualcuno addirittura colleziona) si possono almeno ammirare, insieme alla foto della “falsa” corona dell’imperatrice, nella vetrina di un delizioso cortile interno al n. 12 di rue de la Paix.
Par Carla Diamanti